La mozione sul congelamento dell’adesione dell Turchi all’Unione Europea è l’ennesimo passo falso di un’Europa che ormai ha al suo interno schegge impazzite.

Il documento approvato a larga maggioranza con 479 voti a favore, 37 contrari e 107 astenuti [Comunicato Stampa Parlamento Europeo] è stato un puro atto politico. “Le misure repressive adottate dal governo turco nel quadro dello stato di emergenza – si legge nel testo – sono sproporzionate, attentano ai diritti e alle libertà fondamentali sanciti nella costituzione turca e minacciano i valori democratici dell’Unione europea”. 

La mozione, che non è vincolante poiché la decisione in materia è in carico esclusivo alla Commissione,  ha avuto l’unico effetto di dividere le istituzioni europee, di creare un forte imbarazzo tra i ministri degli esteri dell’Unione e di porre la Turchia in una posizione contrattuale ancora più forte, con esiti opposti rispetto alle aspettative per cui era stata presa l’iniziativa.

Se infatti, come si legge nel comunicato, la mozione aveva lo scopo di attuare una pressione politica sulla Turchia relativamente alle operazioni di repressione interne al paese, la reazione della Commissione e di una larga maggioranza degli stati membri che hanno preso le distanze dall’azione parlamentare ha portato la Turchia ad assumere il ruolo di vittima, principalmente sul fronte interno già fortemente dubbioso sulla continuazione del processo di adesione [Leggi: No Europa, così il 64% dei Turchi]

Le prime reazioni di Ankara sono state quelle di accusare l’Europa di “non avere una visione di più ampio respriro” e di non riuscire a comprendere i problemi che la Turchia sta affrontando sul fronte del terrorismo. La presa di distanza dell’Alto Rappresentante degli Affari Esteri UE, Federica Mogherini, seguita dalla preoccupazione manifestata per la tenuta dell’accordo sui migranti, ha ulteriormente rafforzato la posizione turca. Il presidente Erdoğan, infatti, nel commentare l’atto parlamentare europeo ha fatto capire chiaramente che qualora venisse disatteso l’accordo, la Turchia aprirà le porte dei migranti verso l’Europa. Tema molto sensibile in un momento in cui, negli stati membri, la questione dei profughi è un argomento politico in primo piano e l’accordo con la Turchia continuamente sotto attacco.

All’interno dell’accordo sui migranti vi è l’eliminazione dei visti per i cittadini Turchi verso i paesi europei, che sarebbero stati rimossi una volta che la Turchia avesse soddisfatto 72 requisiti relativi a: sicurezza dei documenti, gestione delle migrazioni, ordine pubblico e sicurezza, diritti fondamentali e riammissione dei migranti irregolari. Per stessa ammissione dell’Unione Europea [Comunicato stampa 4 Maggio 2016], la Turchia ha dimostrato un forte impegno nella soddisfazione dei punti richiesti e la liberalizzazione sarebbe stata ipotizzabile entro Giugno dato che, come evidenziato nel rapporto di progresso di Maggio [Rapporto UE Maggio 2016 – Inglese] , mancavano solo 5 dei 72 punti richiesti.

A bloccare il processo è stato il requisito 65, sulla revisione della legge anti-terrorismo, ritenuta troppo rigida dall’Europa e giustificata dalla Turchia per l’eccezionale ondata di terrorismo che sta colpendo da mesi il paese. Questione su cui si è aperta una accesa discussione tra Bruxelles ed Ankara, con un intensificarsi delle reciproche accuse, di ultimatum e di polarizzazione delle posizioni.

Se per l’Europa la modifica della legge anti-terrorismo era imprescindibile per il rispetto dei diritti fondamentali, nella visione Turca questo è stato visto n0n solo come una incapacità di comprendere la situazione del paese sotto attacco terroristico da parte di ISIS e PKK ma anche come una “nuova scusa” per bloccare il processo di adesione fino ad accusare l’Europa di fiancheggiare i terroristi.

In questo contesto la preoccupazione sulla tenuta degli tenuta degli accordi sui Migranti da parte degli Stati Membri, sembra confermare alla Turchia l’approccio opportunistico dell’Unione. Un sentimento crescente tra i cittadini della penisola anatolica, misurato dai sondaggi di Mak Danışmalık (l’82% ritiene la UE non sincera) e ribadito recentemente dallo scrittore Mustafa Aykol al Corriere della Sera: “Alla maggior parte dei miei concittadini sembra che l’interesse degli europei per la Turchia si risvegli solo quando c’è un tornaconto. Hanno torto? Non direi” (Corriere.it)

Anche se non vincolante in termini operativi, l’azione del Parlamento Europeo pone ad un bivio definitivo il processo di adesione. Da un lato ha scoperto il gioco di comodo della Commissione Europea e dall’altro la posizione euroscettica della Turchia. C’è chi ha parlato di TRexit, ma in gioco è soprattutto la credibilità della politica estera Europea che si è mostrata schiava delle politiche nazionali, di fatto mostrandosi non come una Unione ma più come una aggregazione temporanea.

Intanto la Turchia guarda a Sud e a Est…